giovedì 20 novembre 2008

ViVa Obama! - Ma noi non abbiamo votato...


Barack Obama è l'uomo di una svolta storica, è la conferma delle energie di rinnovamento di un grande paese democratico: perché alla fine ha vinto proprio lui, il personaggio del cambiamento e della fiducia nel futuro, in cui gran parte del mondo sperava, a cominciare dal Vecchio Continente... Si poteva certo condividere questa speranza, sulla base dei valori di tolleranza, dialogo e solidarietà su cui si fondava. E si può quindi condividere anche il sollievo per la vittoria elettorale che ne è conseguita. Ma c'è forse un piccolo particolare che è sfuggito dalle nostre parti, in Europa. Lo notava già Machiavelli, quasi certamente nel 1513 (Principe, xxv): «Nondimanco, perché il nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l'altra metà, o presso, a noi». Forse nel tifo della campagna elettorale non ce ne siamo resi conto, e nemmeno durante la lunga nottata di trepidazione in attesa dei risultati, ma la vittoria di Obama, per chi scommetteva su di lui senza essere cittadino americano, è del tutto un fatto di «fortuna»: esattamente come la vittoria della propria squadra di calcio. Noi non potevamo scendere in campo, non siamo andati a votare!
Ma allora perché tanta attenzione attorno a questo evento interno di un paese amico? E che ne è di quella «metà» che la fortuna lascerebbe al nostro libero arbitrio nel governare le cose del mondo? Ahimé, poste le domande giuste, la risposta risulta evidente: se le elezioni americane rivestono così grande importanza per noi, se ammettiamo che il loro corso decide del destino del mondo, è perché sentiamo di fatto che gli Stati Uniti hanno una capacità di scegliere ed agire in modo efficace nel contesto globale e che le elezioni americane contano in quest'ottica molto più di qualsiasi delle elezioni nazionali che avvengono in Europa. Dietro al tifo per Obama, si nasconde l'assuefazione di tutti gli europei a contare di meno nel mondo, ad affidarsi alla «fortuna», a rinunciare alla parte concessa al nostro libero arbitrio di essere padroni del nostro futuro: noi non votiamo per un governo federale rispettato e influente nel consesso delle grandi potenze che decidono del destino dell'umanità!
Ma bisogna guardare fino in fondo in faccia la nostra situazione. A chi si lascia andare in balia delle cose, anche la buona «fortuna» altrui può non essere sufficiente. Obama sarà per molti versi una presidenza ammirevole, una più sana politica statunitense potrà anche implicare una meno cruenta transizione agli equilibri di un mondo ormai multipolare. Ma si tratta del 44° Presidente degli Stati Uniti e ha legittimamente il dovere di non andare contro la ragion di Stato in nome della quale governerà: può agire con prospettive di più lungo termine, in cui è ovvio che il benessere degli americani dipende dalla sopravvivenza della specie umana, ma non gli si può chiedere di essere il Presidente del Mondo! Oggi che è finito l'equilibrio bipolare, noi Europei non siamo più sotto la protezione degli Stati Uniti, siamo un pesante e fastidioso fardello al loro traino. Se continueremo a rinunciare a fare la nostra parte, se non ci doteremo dei poteri democratici necessari e sufficienti a livello continentale, saremo anche il più grave danno alla capacità del mondo di andare verso un futuro di pace e di modelli di sviluppo sensati.
E saremo i primi a pagarne le conseguenze, perché la fortuna «volta e' sua impeti, dove la sa che non sono fatti gli argini né e' ripari a tenerla. E se voi considerate» l'Europa, «che è la sedia di queste variazioni e quella che ha dato loro il moto, vedrete essere una campagna» con argini e ripari ridicoli.


Francesco Pigozzo

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