giovedì 20 novembre 2008

Nasce il giornale che parla europeo!



Buongiorno a tutti!
Come dice il titolo, nasce il primo giornale che parla “europeo”! Ma che cosa vuol dire parlare
europeo? In Europa, in effetti, manca una lingua comune: ci si è provato qualche decennio fa con l’esperanto, ma il tentativo ebbe scarso successo! Il nostro obiettivo è invece quello di dar voce a
notizie, avvenimenti, idee, in una chiave che superi i confini nazionali canonici, e che dia un respiro europeo ai nostri articoli. Vogliamo così sperimentare se è possibile o meno, all’interno di un giornale, considerare l’Europa un soggetto unitario. Per fare ciò vogliamo parlare d’Europa da diversi punti di vista, raccogliendo esperienze diverse provenienti da tutti noi studenti.
Nonostante il clima di freddezza nei confronti dell’idea europea di questi ultimi anni, è proprio in noi giovani che questa, spesso anche inconsapevolmente continua a vivere: viaggiare,studiare o lavorare in altri paesi europei, è diventata un’esperienza alla portata quasi di tutti: tantissimi studenti “vanno in Erasmus”, e con una compagnia aerea low cost si raggiungono Londra o Parigi con lo stesso tempo (e spesso anche allo stesso prezzo) che si impiega a raggiungere Bologna in treno. Questo continuo interscambio, involontariamente, sta contribuendo alla formazione di una cultura “europea”, dove il ragazzo francese, inglese o tedesco, per fare alcuni esempi, non viene più visto come uno “straniero”, ma come un concittadino, come un ragazzo “europeo”. Questo non vuol dire appiattire le particolarità culturali dei vari popoli, ma è anzi un arricchimento continuo, che porta alla condivisione, e quindi al rispetto delle differenze. Per questa ragione abbiamo creato la rubrica “living Europe”, che dà informazioni utili su quello che c’è da fare in tante città europee, attraverso esperienze di ragazzi che sono stati nel progetto Erasmus, o che
hanno vissuto o lavorato all’estero, dando informazioni utili sul come fare altrettanto.
La politica è troppo spesso lontana, in questo caso, dal rappresentare i bisogni della società civile: i partiti politici, arrancano nella difesa di un’ideale nazionale, che spesso, troppo spesso, si dimostra inefficace nella soluzione di problemi complessi: la crisi economica, quella ambientale e
quella del welfare State sono solo alcuni degli esempi, dove si è evinta la difficoltà dei singoli Stati nel portare avanti da soli delle risposte efficaci.
Negli ultimi sessant’ anni, la CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) è stata una delle poche proposte che è riuscita a tutti gli effetti a mettere fine ad una disputa secolare tra Francia e Germania sul controllo di quelle risorse, che ha portato all’Europa tre guerre e milioni di morti Se ha funzionato in quel caso, si pensi a tante altre situazioni in cui questo può funzionare: l’elefantiaca spesa per la Difesa, verrebbe ridotta al lumicino, se al posto di avere 27 eserciti, se ne avesse uno solo. Si pensi poi ad un organismo unico per la gestione dell’energia: ci renderebbe un interlocutore autorevole nei confronti dei grandi paesi produttori di energia,come la Russia ed i paesi dell’Opec, e potrebbe portare ad un vero progetto per lariduzione dei gas serra,inattuabile nell’attuale situazione di continuo veto da parte di vari pesi (si pensi ad esempio al comportamento dell’Italia sul rispetto degli obiettivi di Kyoto).
Nel nostro piccolo (anzi piccolissimo!) di giornale universitario, ci piacerebbe provare a vedere le tematiche dei nostri giorni in questa chiave, con un punto di vista alternativo a quello canonico, analizzando situazioni, spesso viste unicamente, sul piano nazionale, ad una livello sopranazionale: quello europeo.
Inoltre non vogliamo neppure trascurare gli avvenimenti che avvengono oltre i confini dell’Unione, osservando la situazione del resto del mondo, dando particolare riguardo alla situazione dei paesi dell’est europeo, grazie alla collaborazione che Voci d’Europa ha intrapreso con l’associazione “AnnaViva”, associazione fondata in onore di Anna Politkovskaya, che si occupa di promuovere i diritti civili nei paesi dell’ex Unione sovietica.

Se avete voglia di partecipare, il giornale è aperto a tutti i contributi (non di soldi, ma di idee!) Per informazioni, scriveteci all’indirizzo vocideuropa@gmail.com


Roberto Novelli

ViVa Obama! - Ma noi non abbiamo votato...


Barack Obama è l'uomo di una svolta storica, è la conferma delle energie di rinnovamento di un grande paese democratico: perché alla fine ha vinto proprio lui, il personaggio del cambiamento e della fiducia nel futuro, in cui gran parte del mondo sperava, a cominciare dal Vecchio Continente... Si poteva certo condividere questa speranza, sulla base dei valori di tolleranza, dialogo e solidarietà su cui si fondava. E si può quindi condividere anche il sollievo per la vittoria elettorale che ne è conseguita. Ma c'è forse un piccolo particolare che è sfuggito dalle nostre parti, in Europa. Lo notava già Machiavelli, quasi certamente nel 1513 (Principe, xxv): «Nondimanco, perché il nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l'altra metà, o presso, a noi». Forse nel tifo della campagna elettorale non ce ne siamo resi conto, e nemmeno durante la lunga nottata di trepidazione in attesa dei risultati, ma la vittoria di Obama, per chi scommetteva su di lui senza essere cittadino americano, è del tutto un fatto di «fortuna»: esattamente come la vittoria della propria squadra di calcio. Noi non potevamo scendere in campo, non siamo andati a votare!
Ma allora perché tanta attenzione attorno a questo evento interno di un paese amico? E che ne è di quella «metà» che la fortuna lascerebbe al nostro libero arbitrio nel governare le cose del mondo? Ahimé, poste le domande giuste, la risposta risulta evidente: se le elezioni americane rivestono così grande importanza per noi, se ammettiamo che il loro corso decide del destino del mondo, è perché sentiamo di fatto che gli Stati Uniti hanno una capacità di scegliere ed agire in modo efficace nel contesto globale e che le elezioni americane contano in quest'ottica molto più di qualsiasi delle elezioni nazionali che avvengono in Europa. Dietro al tifo per Obama, si nasconde l'assuefazione di tutti gli europei a contare di meno nel mondo, ad affidarsi alla «fortuna», a rinunciare alla parte concessa al nostro libero arbitrio di essere padroni del nostro futuro: noi non votiamo per un governo federale rispettato e influente nel consesso delle grandi potenze che decidono del destino dell'umanità!
Ma bisogna guardare fino in fondo in faccia la nostra situazione. A chi si lascia andare in balia delle cose, anche la buona «fortuna» altrui può non essere sufficiente. Obama sarà per molti versi una presidenza ammirevole, una più sana politica statunitense potrà anche implicare una meno cruenta transizione agli equilibri di un mondo ormai multipolare. Ma si tratta del 44° Presidente degli Stati Uniti e ha legittimamente il dovere di non andare contro la ragion di Stato in nome della quale governerà: può agire con prospettive di più lungo termine, in cui è ovvio che il benessere degli americani dipende dalla sopravvivenza della specie umana, ma non gli si può chiedere di essere il Presidente del Mondo! Oggi che è finito l'equilibrio bipolare, noi Europei non siamo più sotto la protezione degli Stati Uniti, siamo un pesante e fastidioso fardello al loro traino. Se continueremo a rinunciare a fare la nostra parte, se non ci doteremo dei poteri democratici necessari e sufficienti a livello continentale, saremo anche il più grave danno alla capacità del mondo di andare verso un futuro di pace e di modelli di sviluppo sensati.
E saremo i primi a pagarne le conseguenze, perché la fortuna «volta e' sua impeti, dove la sa che non sono fatti gli argini né e' ripari a tenerla. E se voi considerate» l'Europa, «che è la sedia di queste variazioni e quella che ha dato loro il moto, vedrete essere una campagna» con argini e ripari ridicoli.


Francesco Pigozzo

Bielorussia, offerta UE a Lukaschenka.


L’ UE intende liberare la Bielorussia dall’ influenza russa. Per questo Bruxelles già da settimane ha iniziato un dialogo col regime di Lukashenka, proponendo ora un accordo concreto per superare il gelo diplomatico esistente dal 2006.
Tale proposta consiste nell’ accettazione da parte della Commissione Elettorale di Minsk di un numero minimo di 20 oppositori e dissidenti nelle liste per le elezioni politiche di domenica 28 settembre. In cambio, l’ UE promette una diminuzione, se non addirittura una revoca delle restrizioni sui visti imposte alla Bielorussia dopo le elezioni-farsa del 2006, nonché l’ inizio di una più stretta politica di vicinato tesa alla collaborazione
politico-economica.
Critico in merito a tale proposta il leader del Movimento di opposizione per la Libertà Aleksander Milinkiewicz, il quale sottolinea come il regime, controllando la Commisione Elettorale, potrà comodamente scegliere tra gli oppositori meno influenti, quando non consenzienti con Lukashenka. Aggiunge, come sia illogico che un politico «nominato dal regime» possa condurre una forte e ferma opposizione.

Bruxelles ha affermato che verificherà i nomi degli oppositori eventualmente ammessi alla competizione elettorale di domenica. Tra i nomi in circolazione,il carismatico vice leader del Fronte Nazionale Bielorusso (BNF) Aleś Michalewitz, uno dei tanti nomi sulla lista nera
di Lukaschenka.
Il leader dello stesso BNF Lavon Barszczeuski spiega che l’obiettivo da perseguire è lo svolgimento di elezioni veramente libere, senza doverle per forza vincere. Eppure la presenza di un’ opposizione nel Parlamento di Minsk sarebbe un primo passo verso la giusta strada, nonché un successo diplomatico che rafforzerebbe il ruolo dell’ Europa e della Polonia nel contesto internazionale.

Già dalla scorsa primavera i deputati polacchi avevano incessantemente provato a convincere Bruxelles sulla necessità di ammorbidire la propria posizione nei confronti del regime bielorusso, ottenendo sempre insuccessi.
Tuttavia, l’ invasione russa in Georgia sembra aver finalmente convinto anche gli altri paesi europei, che hanno apprezzato e reagito positivamente alla liberazione di alcuni oppositori politici e al non-riconoscimento di Abkhazja ed Ossetia del sud da parte del regime di Lukashenka.
Proprio Lukashenka ha ora la possibilità di guadagnare credito agli occhi dell’Occidente e di sottrarsi dall’ influenza russa, ammettendo in parlamento una forte e strutturata opposizione sostenuta da un certo consenso, come si conviene in tutte le Democrazie del mondo. Si tratta di una scelta concreta che riavvicinerebbe la Bielorussia all’ Europa dopo secoli bui
vissuti prima sotto il giogo russo zarista e comunista, e poi sotto l’ ennesima autocrazia dell’attuale presente. Probabilmente, una piccola svolta della storia.


Matteo Cazzulani

(presidente associazione Annaviva)

Erasmus... modus vivendi!

Partire per l’Erasmus è stata una delle scelte migliori che abbia mai fatto.
L’Erasmus non è solo un programma di scambio, è uno stile di vita. Trovarsi insieme ad altre persone, più o meno coetanee e più o meno provenienti da tutta Europa non apre la mente, la spalanca. Non senti nessuna differenza, non esiste alcuna differenza! Sai che comunque è provvisorio, ma sai anche che è irripetibile, puoi farlo solo ora, il tempo è adesso. Così decidi di buttarti a capofitto in questa esperienza, mettendoci dentro tutto te stesso e potendo anche di più. Ti senti come al primo giorno di scuola, sei terrorizzato, ma tutta questa agitazione ti carica di adrenalina come non mai.
È un turbine di emozioni e sensazioni che avevi dimenticato, forse per mancanza di tempo, o forse, per abitudine le avevi solo ignorate. Appena arrivi non conosci nessuno e chissà perché i gruppi si sono già formati e tu stai lì, cercando di capire dov’eri quando si sono conosciuti tutti. Superato questo ostacolo, va tutto liscio, ti ritrovi in un attimo catapultato in un’altra dimensione, ti sembra tutto surreale, così esterno dalla realtà a cui sei abituato. Ogni giorno è un’occasione nuova per fare una festa, ogni casa è presa d’assalto. Si inizia a diventare sempre più simili ad una comune, quasi una famiglia. C’è uno scambio continuo di informazioni. Ognuno insegna, ognuno impara.
Purtroppo, o per fortuna, arriva un momento in cui tutto finisce.
Sei diventato consapevole che la tua avventura sta per finire, e non vuoi, vorresti trovare una scappatoia per restare ancora, vorresti fermare il tempo, congelare quel momento. Ma non si può, ti ritrovi in un lampo al giorno della partenza, i tuoi amici sono li, ti consolano, ti promettono che verranno a trovarti. Forse, consolando te, stanno cercando di consolare anche se stessi. Così parti e ritorni alla tua vita normale, ma ormai non la riconosci più. Ti devi riabituare.
Ti senti estraneo a tutto quello che solo un anno prima ti era così familiare. Non sono solo gli altri
ad essere cambiati, lo sei anche tu. Forte di questo, riprendi in mano la tua vita e comincia viverla in modo molto diverso da prima.
Così, senza nemmeno rendertene conto, ti ritrovi catapultato in una nuova avventura.

Vincenzo Pignataro

Le banche centrali e la crisi finanziaria: Trichet vs. Bernanke


Nelle ultime settimane ho letto svariati articoli che trattavano il tema della crisi finanziaria mondiale. Alcuni di questi contenevano anche analisi economiche raffinate e penetranti, ma in tutti o quasi c'era un grande assente: le politiche monetarie. Se economisti, giornalisti e commentatori si concentrano solo ed esclusivamente sull'attività delle banche commerciali, sull'assenza delle regole, sull'abuso degli strumenti finanziari, che pure sono problemi seri e reali, rischiano di perdere di vista quello che a mio parere è il vero responsabile: la banca centrale statunitense. A partire dall'inizio degli anni Novanta la Federal Reserve ha perseguito sistematicamente politiche espansive, inondando di liquidità l'economia americana e, di riflesso, quella globale. Questo comportamento dissennato ha prodotto al termine dello scorso decennio la bolla speculativa della new economy e ha reso possibile in anni più recenti la diffusione dei mutui subprime. Se il costo del denaro è mantenuto troppo basso, le banche commerciali non hanno nessun incentivo a effettuare controlli seri e rigorosi sulla solvibilità dei propri clienti, siano essi aziende o semplici cittadini che richiedono un mutuo ipotecario per comprare casa. Se le autorità monetarie statunitensi proseguiranno su questa strada, l'economia americana sarà costantemente esposta al rischio di crisi. Già adesso è possibile intravedere all'orizzonte la bolla del credito al consumo, una bolla destinata a scoppiare prima o poi. Ben Bernanke, governatore della Fed, farebbe bene invece a seguire l'esempio della Banca Centrale Europea. Sulla sponda opposta dell'Atlantico troviamo infatti un modello di gestione della moneta completamente diverso. La BCE, fin dalla sua fondazione, ha perseguito l'obiettivo statutario di contrastare l'inflazione, raggiungendo in questo campo risultati che sono sotto gli occhi di tutti, ma al tempo stesso ha creato le condizioni per uno sviluppo economico ordinato e solido nell'area dell'euro. Le sue politiche prudenti e prevedibili hanno consentito agli operatori economici di formarsi aspettative corrette, non hanno interferito con la struttura degli incentivi del mercato creditizio e hanno costretto i governi nazionali a sottoporsi a una rigida disciplina nelle scelte di politica fiscale. Nell'area euro gli effetti della crisi sono esclusivamente esogeni e nascono dall'integrazione globale dei mercati finanziari. Non a caso le banche che per prime e con più forza hanno subito gli effetti della crisi sono quelle statunitensi e britanniche, non certo quelle dell'Europa continentale, che ne sono state interessate solo in un secondo momento. Il merito di questo successo deriva sì dalla straordinaria competenza dei banchieri centrali europei, ma anche dall'autonomia dell'istituzione. Se la BCE non avesse trovato al suo interno la forza per resistere alle pressioni dei governi nazionali europei, oggi ci troveremmo a dover scrivere una storia molto diversa e probabilmente senza lieto fine.


Marco Del Ciello

L’ombra xenofoba nel processo di Allargamento dell’Unione Europea. Un esempio: i negoziati con la Turchia. Spunti di riflessione..


I negoziati di adesione tra Turchia e Unione Europea hanno radici profonde, ma l’interesse dell’opinione pubblica è piuttosto recente. Dall’Ottobre del 2005, data in cui la Turchia ha acquistato lo status di paese candidato, si è parlato molto di questo possibile allargamento. Questi negoziati, seppur oggi lontani dai riflettori dell’opinione pubblica, hanno ancora il pregio di interessare non solo esperti giuristi, politologi, economisti, ma tutti noi. Almeno tutti quelli che ci leggeranno. Peculiarità di questo tema è che ognuno di noi, anche se non ha un’idea precisa o informata sull’argomento, di pancia sente di essere a favore, oppure contro, questo allargamento. Il che è pienamente legittimo, purché, io credo, ci sia un minimo di consapevolezza. Altro aspetto interessante di questi negoziati è che il “fronte del si” e quello del “no” generalmente si sfidano sugli stessi “punti caldi” e con le stesse argomentazioni, con la precisazione che esse sono esattamente di segno contrario. Posizione geostrategica, economia, composizione della popolazione, cultura, religione, diritti umani, rapporti con gli USA e il mondo Arabo per alcuni costituiscono una ricchezza e un’opportunità mentre per altri rappresentano un cavallo di troia per la coesione europea. La Turchia, come notano nei loro rapporti Commissione e Parlamento, non raggiunge ancora standards soddisfacenti, in settori come la libertà di espressione, i diritti religiosi e delle minoranze, le relazioni tra civili e militari, l’effettiva applicazione della legge, dei diritti delle donne, dei diritti culturali. Ma questo argomento se utilizzato “contro” è logicamente inesistente.
Non si discute infatti della possibilità di un allargamento hic et nunc ma subordinatamente al fatto che queste lacune vengano colmate e tutte le condizioni poste dall’Unione Europea soddisfatte.
Se ci si avvicina all’analisi e al dibattito in questa prospettiva e con onestà intellettiva, qualunque conclusione, a favore o contro, credo sia ugualmente valida e rispettabile.
Avendo seguito sul tema molti dibattiti, più o meno seri e ideologici, mi sono accorto di come l’unico argomento sempre presente, anche se spesso non espresso, sia invece la viscerale paura per una realtà, un popolo, una nazione che sembrano essere distanti per cultura, religione, usi, costumi. Con la paura, o meglio, con la gente che ha paura, è difficile affrontare un dialogo sereno e costruttivo perché chi ha paura agisce a un livello più basso di quello razionale, inibendo quest’ultimo. Ed è proprio nella paura dello sconosciuto, dell’ignoto, che hanno facile presa le semplicistiche e lapidarie teorie o slogan xenofobi, che danno risposte di chiusura a problemi complessi o magari solamente articolati. Un sondaggio dell’Eurobarometro, in occasione dei risultati del referendum francese sulla Costituzione Europea, ha messo in luce che il 6%dei votanti in Francia motivava il voto con l’opposizione all’adesione della Turchia. Cosa poi avesse a che fare il referendum sulla Costituzione con l’allargamento questo non è dato sapere. Tuttavia spesso vediamo come una politica di bassa lega, facendo leva sul seme della paura o dell’odio razziale, dello scontro di civiltà, imposti facili equazioni, semplici sillogismi che ponendo premesse e dati completamenti sbagliati fanno discendere conseguenze assurde. Ecco quindi che quando questi sentimenti insistono tra il pancia e la lingua immancabilmente prende vita il fantasma della xenofobia che etimologicamente è proprio la paura, il terrore, dello xenos, parola che in greco indica lo straniero, il forestiero e, curiosamente, anche l’ospite.
In occasione della Conferenza del Bosforo del Centro per le riforme europee tenutasi a Istambul nel 2006, il commissario europeo per il commercio Mandelson nota che "nell'UE molte delle voci contrarie all'adesione della Turchia,…, rispecchiano problemi più ampi della società europea: disoccupazione, migrazione, tensioni sociali. Preoccupazioni legittime, che non possono essere ignorate. È difficile portare avanti un dibattito razionale sulla Turchia e l'UE se la Turchia è l'immagine in cui si proiettano tutte le nostre paure per un mondo che cambia”.



Simone Keremidtschiev

Europa e Società civile


Il 13 ottobre si è tenuto all’Università Cattolica un convegno dal titolo “Istituzioni comunitarie e società civile. In dialogo per l’Europa”, riguardante l’omonimo saggio di Vincenzo Cesareo e Fabio Introini. Dalla discussione è subito emerso come sia difficile definre la società civile che, se in Italia nella prima Repubblica era costituita da sindacati e partiti politici, oggi è tutto fuorchè questo. Difficile è poi pensarla ora a livello europeo perché mancano sindacati e associazioni reali a questo livello, mentre vengono formate alleanze di elementi nazionali per indirizzare la politica europea in una certa direzione. Le vere realtà europee, come Medici Senza Frontiere, sono a vocazione internazionale, non europee come finalità, solo adesso si sta discutendo lo statuto di associazione europea. Riguardo all’elaborazione di questo studio è stata evidenziata una carenza di studi sociologici riguardanti l’Unione Europea e questo è sintomo di un problema molto grave per le istituzioni europee. A giudizio delle persone a cui sono state rivolte domande per la realizzazione di questa ricerca, la Commissione manca di legittimazione popolare perché non è eletta direttamente dai cittadini, a differenza del Parlamento. I componenti della società civile vengono pensati dalla Commissione come destinatari dei messaggi recepiti, che devono trasmettere ad altri. Nei documenti che elabora, la società civile viene quindi vista in un’ottica comunicativa, e gli sbagli effettuati nella strategia di comunicazione vengono percepiti come errori di comunicazione. In realtà la società civile è anche coscienza critica delle istituzioni, che formula critiche e suggerimenti. L’organo destinato alla comunicazione è il CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo), che ha proprio l’obiettivo di creare un ponte tra le istituzioni europee e la “società civile organizzata”. Il problema di questo ente è che non ha però una leadership chiara e ha il difetto che i suoi membri vengono nominati dai governi nazionali. Il problema di comunicazione è in Europa molto grave, specialmente in paesi come l’Italia, la gente si attende di essere informata sul lavoro delle istituzioni europee, i canali di comunicazioni però non la raggiungono e si crea quindi sfiducia e impopolarità verso un mondo che viene visto come lontano e autoreferenziale. I cittadini denunciano quindi un’opinione critica dei media, che esagerano il ruolo negativo delle istituzioni europee, fonte di spese e ostacolo della politica nazionale, mentre i grandi dibattiti sulla politica europea vengono trattati nei telegiornali solo superficialmente o non vengono trattati affatto, perché visti come secondari rispetto alla politica nazionale. Altri elementi che emergono dalla ricerca sono l’egemonia dei pochi e l’influenza delle lobby presente nelle istituzioni, e l’esistenza di grandi organismi di cui non si comprende il ruolo. L’elemento di più grande impatto per l’europeizzazione è sicuramente il progetto Erasmus, che la gente auspica venga applicato anche a diversi destinatari, la Corte di Giustizia europea è, poi, diventata l’organo di giustizia ultimo nella vita delle persone, ed è vista anche come difensore da quella nazionale, sono queste le realtà europee che vengono vissute dai cittadini. Da un sondaggio è emerso che solo una minima parte della popolazione europea sa che l’anno prossimo si terranno le elezioni, il lavoro che sta svolgendo l’Europa ora è un’azione verso i media al ivello regionale e lo sviluppo di strumenti per una maggior partecipazione, come gli uffici Europe Direct. Fondamentale è, però, che entri in vigore il Trattato di Lisbona, esso contiene, infatti, forti elementi di cambiamento e rafforzamento delle istituzioni e dedica, per la prima volta, un intero paragrafo alla partecipazione.



Alessandro Zunino

Una noche de Erasmus... en Madrid

“Non si può dire di essere stati a Madrid senza essere stati al Tigre”. Come non provare uno dei più tipici e frequentati bar de tapas della capitale spagnola?
Il mio consiglio è di non andare nei fine settimana (a meno che non amiate anche voi quel vociare e quella ressa tipicamente española) e di prepararvi nel difficile esercizio di equilibrio di mangiare in piedi con un vaso de cerveca in una mano e un piattino di tapas nell’altro (magari se siete davvero esperti anche con un cigarro in bocca). Ordinate una caña a los Caballeros e vi verrà gentilmente offerto anche un piattino con una mezcla dei più buoni (e ciò vuol dire ovviamente più grassi e insani) piatti spagnoli, dalle patatas bravas alle indescrivibili croquetas.
La prossima tappa che vi consiglio è la zona di Plaza sant’Anna (più precisamente, se i miei ricordi alcolici sono esatti, in Calle de la Victoria), dove troverete un semplicissimo bar nel vecchio stile spagnolo la cui specialità sono i ‘Champions’, economici megaboccali di cubalibre, che vi daranno la carica per affrontare la larga noche.
È qui che arriva il bello perché Madrid ti offre la più ampia scelta di locali notturni: potete essere rockettari, fighetti, gay, ubriaconi, rastoni o discotecari (o tutte queste caratteristiche insieme) ma troverete sicuramente quello che fa per voi. Vuoi una bella serata Drum&bass? Ogni Giovedì e Sabato c’è il mitico Twist; ti piace la Tecno-House? Allora non puoi non andare al Macumba (dove si trovano DJ del calibro di Miss Kittin e Jeff Mills) o al Mondo; vuoi ricaricarti con un po’ di sano Rock? Tutta la famosa zona di Malasaña ti offrirà centinaia di locali – tra cui vi consiglio la Via Lactea, locale storico della Movida madrileña- e lo Ya Està -aperto fino alle sette del mattino; appartieni invece al classico stile milanda-hollywoodiano? Il Pacha, il Joy e il Palacio de Gaviria non ti faranno rimpiangere i migliori club milanesi (gli ultimi sono addirittura due teatri).
E sarà al ritorno verso casa, forse grazie a l’inebriante alcool ingurgitato tutta la sera, che vedrete la vera bellezza di Madrid, la Madrid silenziosa, la Madrid che torna a casa, la Madrid che non dorme mai…

Giulia Sala

About festivals in Europe



Forse non vi siete accorti, ma l’estate musicale europea appena conclusasi è stata una tra le migliori in assoluto degli ultimi anni, un numero immenso di festival di qualità hanno praticamente toccato tutte le regioni europee; dai grandi eventi –istituzione come lo Sziget in Ungheria e l’inglese Glastonbury ai festival di musica alternativa ,che hanno tanto appeal tra i giovani, come il Sonar in Spagna o il nostrano Traffic di Torino. Forse anche grazie alle crisi di vendite di cd musicali, il 2008 verrà ricordato per l’ aumento vorticoso di eventi outdoor, i promoters musicali hanno saggiamente spostato l’attenzione sui live in cui le persone sono ancora disposte a investire denaro, aria fresca per le grandi etichette schiacciate dai debiti e miseri profitti in caduta libera, e che permette anche a realtà più indipendenti di farsi conoscere al grande pubblico.


Finita l’estate però in genere i grandi festival si spostano su altre latitudini, se avete la fortuna di poter viaggiare tra non molto, in Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Sud America potreste incappare in Festivaloni di tutti rispetto. In Australia il “Big day out”, festival interinante, porterà nei maggiori centri cittadini Artic Monkeys, Neil Young, Prodigy , Simian Mobile Disco e tanti altri. Nella calda California invece c’è il Coachella Festival che ha una line-up da brividi che comprende i massimi esponenti di rock, pop, indi e dance. Se vi trovate invece in Argentina, Chile o Brasile, dei promoter inglesi da diversi anni organizzano eventi abnormi che richiamano folle oceaniche per assistere alle performance dei migliori djs europei in circolazione.





Ma anche in Europa, pur pesando l’arrivo dei mesi freddi e piovosi, qualche evento è segnalabile. A Ghent in Belgio il 15 Novembre in una notte si esibiranno, in 6 padiglioni di una fiera, i migliori producers a livello mondiale di musica elettronica, il festival si chiama “I love techno” , l’evento belga è in realtà la riprova di come la musica digitale sia un fenomeno di matrice europea. Ma nel caso non siate devoti ai ritmi loopati e paranoici della techno music, potrete gustarvi durante l’anno gli innumerevoli lives delle vostre bands preferite che grazie alle nuove strategie di mercato, toccano in lungo e in largo tutto il vecchio continente.



Luca Carlo Ceriani