martedì 9 dicembre 2008

Crisi economica ed Unità europea

La crisi finanziaria ha colpito con estrema virulenza le strutture vitali del sistema economico internazionale, esponendo il mondo a scenari inaspettati.

Gli Stati Uniti, la principale potenza economica mondiale e la principale piazza finanziaria del Mondo, ha vacillato, lasciando sul tappeto alcune delle più importanti Merchant bank americane, cuore pulsante del sistema finanziario internazionale.

La gravità della situazione ha preteso misure eccezionali, una serie di interventi diretti dello Stato a sostegno del sistema bancario e assicurativo del Paese, oltre a massicci interventi di carattere sociale a sostegno di chi, in questi mesi convulsi, ha perso il lavoro negli Stati Uniti. Inoltre, si è arrivati persino a discutere, in sede internazionale, la possibilità di rivedere gli accordi di Bretton Woods per sostenere la situazione economica e monetaria internazionale, invitando al tavolo delle trattative non solo gli stati membri del G8 ma le nuove potenze economiche che si affacciano sul proscenio del Ventunesimo secolo. Due per tutte, Cina e India.

Questa è la dimostrazione che la crisi costituisce un freno alle sicurezze che, fino ad oggi, hanno sostenuto il sistema economico e che necessitano risposte efficaci e condivise, non solo da parte degli Stati Uniti, ma anche da parte degli altri soggetti internazionali a cui si richiede di condividere la responsabilità della gestione della difficile congiuntura internazionale.
E l’Europa? Come al solito gli stati, dopo lo shock iniziale, hanno continuato a procedere in ordine sparso, rigettando anche le flebili e, talvolta, velleitarie proposte unitarie poste dal presidente di turno dell’UE. Fallito il G4, abbandonate la proposta di creare un Governo europeo dell’Economia, propugnata dal presidente Sarkozy, e la proposta di istituire uno o più fondi sovrani europei (per limiti giuridici e istituzionali) gli Stati membri si sono trovati nella condizione di agire senza un sostanziale coordinamento. Il sostegno economico e finanziario è arrivato con la partecipazione diretta degli stati nella proprietà di banche e assicurazioni e, dove è stato possibile, con investimenti nelle infrastrutture; altrove, come nel Regno Unito, si è intervenuto con vere e proprie nazionalizzazioni. In tutti i casi, ci troviamo dinanzi a scelte, a politiche pubbliche incapaci di risolvere in modo risoluto la crisi finanziaria internazionale, a strumenti inadatti allo scopo che inducono gli stati membri a ridiscutere persino i vincoli stabiliti a Maastricht. Si paga, pertanto, il prezzo delle mancate riforme istituzionali (necessarie dopo l’Allargamento), ma anche della mancanza di un progetto politico che abbia la capacità di conferire nuova linfa al processo di integrazione europea.

Malgrado ciò, le conseguenze politiche e sociali sono tutte a carico degli stati nazionali e ancora tutte da quantificare, non solo dal punto di vista economico.

Inoltre le iniziative a sostegno degli istituti bancari e delle assicurazioni sono compiute a carico del debito pubblico degli Stati. Tali misure creano ovvi squilibri, dal momento che la capacità di spesa è condizionata dai parametri del Patto di Stabilità (alla base della Moneta unica) mettono in crisi gli stati più deboli, che, anche a seguito di un deficit eccessivo, non possono accollarsi l’onere di attuare politiche di protezione sociale e di investimento a sostegno del sistema economico. Più si va avanti più si comprende quanto il sistema comunitario nel suo complesso, sia a causa di palesi limiti istituzionali, sia per le chiare difficoltà negoziali del quadro a ventisette, si trovi nell’impossibilità di agire, lasciando campo libero agli stati membri che decidono sulla base dell’interesse particolare, mettendo in crisi non solo lo spirito di cooperazione, le stesse istituzioni comunitarie, ma anche le conquiste politiche e istituzionali degli ultimi decenni. È forse questo uno dei momenti più drammatici in cui l’Europa e il Mondo si trovano dalla fine della Guerra fredda.

Serve un nuovo slancio per completare l’integrazione europea, cercando anche strade alternative al quadro attuale. Laddove non fosse possibile procedere tutti e ventisette, in ossequio alla teoria che prevede più livelli di integrazione, un gruppo di stati, come è stato per la Moneta unica, potrebbero prendere assumersi maggiori responsabilità, avviandosi, verso la Federazione, verso una reale ed effettiva integrazione politica e federale dell’Europa, a partire dalla politica estera e di sicurezza e da un comune governo dell’Economia. Forse solo in questo modo si potrà ridare vigore al progetto europeo, tornando al senso della Dichiarazione Schumann e alle intenzioni dei Padri fondatori dell’Europa unita.



Carlo Maria Palermo

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