sabato 7 febbraio 2009

UN PROGRAMMA DI GOVERNO PER L'EUROPA


Il 6-7 giugno 2009 si voterà per il rinnovo del Parlamento Europeo, elezione che dal
1979 avviene a suffragio universale diretto, unico caso al mondo di parlamento sovranazionale
legittimato democraticamente. Le numerose iniziative lanciate in vista di queste elezioni,
soprattutto in ambienti europeisti e federalisti, sono volte innanzitutto a rendere il dibattito
pre-elettorale un’occasione per discutere di temi “realmente europei”, vale a dire per fare in
modo che queste elezioni non siano una replica di quelle politiche e amministrative nazionali,
in termini di temi trattati.
La motivazione risiede in una considerazione molto semplice: la recente crisi, in quanto
globale, mostra chiaramente la necessità di trattare alcuni temi chiave a livello sovranazionale,
di fronte alla totale inefficacia da parte degli Stati nazionali di gestirli.
E’ bene sottolineare che tale inefficacia non è da intendersi come incapacità degli stati di fare
politica ma deve piuttosto interpretarsi come un limite naturale ad affrontare tematiche che,
derivando direttamente dal processo di globalizzazione, hanno cause ed implicazioni che
travalicano i confini nazionali e che solo prescindendo da tali confini possono essere innanzitutto
comprese e poi adeguatamente gestite.
La stessa logica “europea” è quella che dovrà essere adottata dal Parlamento eletto se vorrà
essere incisivo nella trattazione delle sfide cui si trova di fronte l’Europa. Negli ultimi mesi
infatti la crisi economico-finanziaria, il surriscaldamento del pianeta e la protezione
dell’ambiente, la politica estera europea, sono stati trattati con dichiarazioni “di principio” di
cui solo nel medio termine si potrà valutare l’efficacia, ed questo un ruolo fondamentale sarà
ricoperto proprio dal Parlamento Europeo, chiamato a discutere e a deliberare sulle misure
volte a gestire queste stesse materie, con spirito di iniziativa e attenzione al comune interesse
europeo.
Primo punto sull’agenda sarà inevitabilmente la crisi finanziaria. Lo European Economic Recovery
Plan adottato dalla Commissione a fine novembre ha di fatto ricompreso sotto un unico nome
i contributi nazionali già previsti per lo stimolo della domanda all’interno dell’Unione Europea
a fronte della crisi che nei prossimi mesi investirà con ogni probabilità l’economia reale.
Di fronte a questa situazione, solo un progressivo e maggiore coordinamento delle politiche
economiche degli Stati Membri, con l'obiettivo (urgente) di una politica economica comune
da affiancare alla già esistente politica monetaria in capo alla Banca Centrale Europea, potrà
avere la legittimità per rendere l'economia Europea, nel suo insieme, capace di vincere la
sfida della competitività internazionale, anche con l'ausilio di nuovi strumenti finanziari, in
particolare l'emissione di Eurobond (titoli di stato europei), soprattutto a fronte della crescente
sfiducia verso i titoli di stato dei paesi dell'Unione, per finanziare coraggiosi programmi
di investimento e di ricerca e sviluppo.
L’accordo sul “Pacchetto Clima” nel corso dell’ultimo Consiglio Europeo, e la successiva
approvazione da parte del Parlamento Europeo, è stato certo un traguardo importante.
Tuttavia, senza voler entrare nei dettagli tecnici, fa riflettere il persistere di un approccio
del tutto intergovernativo, con paesi come l’Italia pronti ad usare il diritto di veto, andando
contro i propri stessi cittadini, che vivono, anche loro, in un mondo “surriscaldato” e a
corto di risorse energetiche.
Tra le altre sfide con cui il Parlamento Europeo che eleggeremo a giugno dovrà confrontarsi
c’è poi quella della politica estera. Anche in questo caso, è la paralisi inflitta dai comportamenti
degli Stati nazionali a dar da pensare. La presidenza francese, che pure ha lavorato
bene (soprattutto durante la crisi georgiana), ha interpretato la tanto agognata “voce unica”
in politica estera come la voce unica di un leader che non solo mirava a “entrare nella storia”
(sarebbe il male minore) ma ha confermato la visione di un’Europa-potenza in cui agli
stati sono affidate, in via esclusiva e con diritto di veto, le competenze chiave dell’Unione,
soffocando di fatto i meccanismi comunitari.
Di fronte al PE, nel discorso conclusivo del semestre di presidenza, Sarkozy ha affermato
che "sarebbe un errore voler passare sopra la testa dei governanti eletti in nome dell’ideale
europeo" come se i parlamentari europei non fossero eletti in modo democratico e dunque
non fossero di diritto espressione di questo ideale.
Ideale che dovremmo ricordare tutti quando andremo a votare il prossimo giugno, senza
lasciarci guidare da logiche "interne". Solo in questo modo consegneremo al Parlamento
eletto un mandato, un programma di governo volto a gestire le maggiori sfide europee,
forte della propria legittimità democratica e capace di restituire ai cittadini europei la
fiducia nel sogno dei padri fondatori di un governo europeo, federale, che è più vicino di
quanto si possa immaginare.


Chiara Cipolletta
Presidente della Gioventù Federalista Europea

Nessun commento: