sabato 7 febbraio 2009

STATI UNITI ED EUROPA: DUE ECONOMIE A CONFRONTO

L’economia non è un meccanismo per far soldi ma uno strumento che lo Stato ha a disposizione
per garantire ai propri cittadini una qualità della vita più alta possibile. Normalmente,
per valutare le prestazioni economiche di un Paese, si utilizza il tasso di crescita del Prodotto
interno lordo. Quest’ultimo non è altro che il valore monetario di tutte le merci prodotte in
un anno all'interno di un Paese e destinate ad usi finali, come consumi, investimenti ed
esportazioni. Negli ultimi nove anni per cui sono disponibili i dati Eurostat (l’istituto statistico
dell’Unione Europea) ovvero il periodo 1999 - 2007, il Pil statunitense è cresciuto del
127% contro il solo 124,1% dell’Unione Europea a ventisette Stati. Poco cambia se prendiamo
in considerazione l’Europa a 15: la crescita è del 123%.
Questi dati vanno affiancati a quelli relativi al Pil pro-capite, ovvero la ricchezza media di cui
dispone ogni individuo: il reddito medio di un cittadino statunitense nel 1999 era maggiore
del 60% rispetto a quello di un abitante dell’UE-27. Oggi la differenza è del 50%, a causa di
una crescita della popolazione molto più marcata in nord America che in Europa. Insomma,
stando al PIL, sembra che gli statunitensi godano di una qualità della vita enormemente
maggiore rispetto a quella di noi europei e che se questo distacco sta diminuendo, la ragione
è il maggiore aumento della popolazione americana rispetto a quella europea e non una
migliore performance economica del Vecchio continente rispetto al Nuovo.
Hanno quindi ragione i numerosi economisti neoliberisti che sostengono che
l’Europa dovrebbe adottare dei modelli economici più simili a quello degli
USA?
Probabilmente no, per il semplice motivo che, come diceva l’inventore del Pil Simon Kuznets,
“il benessere di una nazione” può “difficilmente essere evinto da una misura del reddito
nazionale”. Cerchiamo di capire il motivo. Se una petroliera affonda nei pressi delle coste
della California,il Pil della California aumenta. Infatti andranno ad accrescere il prodotto
interno lordo le spese per il recupero della nave, quelle per la depurazione del mare nonché
le spese per l’acquisto del nuovo petrolio che andrà a sostituire il greggio perduto
nell’incidente. Quindi il Pil aumenta anche a causa di attività economiche che non migliorano
la qualità della vita della popolazione.
Stabilito che quantomeno ci sono dei ragionevoli dubbi nel considerare il Prodotto interno
lordo come una valida misura del benessere, a questo punto sorge spontaneo chiedersi se
esistano delle alternative al reddito pro capite per quantificare la qualità della vita.
Tra i numerosi indici che sono stati elaborati in questi decenni citiamo l’HDI, ovvero lo
Human Development Index. Tale indice tiene conto, oltre che del Pil pro-capite, anche
dell’aspettativa di vita, del tasso di alfabetizzazione e del titolo di studio mediamente conseguito
dalla popolazione di un Paese. Secondo i dati riportati nello Human Development
Report 2007/2008, relazione stesa annualmente dalle Nazioni Unite, i divari tra l’Unione
Europea a quindici Stati e gli Stati Uniti in termini di HDI sono minimi e si nota una netta
convergenza dei valori: nel 1980 il rapporto tra l’HDI degli Stati Uniti e quello dell’UE-15
era 96,734 contro un rapporto tra i rispettivi PIL pro-capite di 74,987. Nel 2005 i risultati
erano rispettivamente 99,215 e 79,525. A causa della mancanza di dati purtroppo non è
altrettanto agevole fare la stessa analisi per l’Europa a ventisette Stati. In ogni caso vediamo
come cambiando gli indici di riferimento si ottenga un rovescio immediato del giudizio sulle
prestazioni: l’economia europea negli ultimi venticinque anni ha praticamente raggiunto
quella statunitense, se ci riferiamo all’Europa a quindici.
Ma per confrontare le prestazioni economiche di due Paesi possiamo anche esaminare uno o
più settori fondamentali per qualità della vita della popolazione e valutare le performance
registrate dagli Stati che ci interessano.
Prendiamo per esempio la sanità, un campo importantissimo sia per la nostra salute e quindi
per il nostro benessere, sia per l’economia, visto che le spese sanitarie occupano una percentuale
molto significativa del PIL delle economie più avanzate. In particolare, sempre secondo
lo Human Development Report (HDR), nel 2004 gli Stati Uniti hanno impiegato nella sanità
il 15,4% del loro PIL totale, contro il solo 8% dell’UE-27 e l’8,8% dell’Unione a 15. Da
notare tra l’altro che negli Stati Uniti la sola spesa privata nel settore sanitario ammonta
all’8,5% del PIL.
Per avere un’idea di quanto sia si pensi che il Paese dell’Unione europea in cui il settore
privato spende di più nella sanità è la Grecia con il 3,7% del PIL. A fronte di questi dati, se
la semplice spesa fosse un indicatore di benessere, dovremmo aspettarci che gli statunitensi
godano di una salute di ferro se paragonata a quella di noi europei. Invece se sfogliamo
qualche tabella dell’HDR scopriamo che la realtà è molto diversa. A fronte di una spesa
sanitaria pro-capite quasi tripla nel 2004 rispetto a quella europea, gli USA riescono a garantire
la presenza di 256 medici ogni 100.000 abitanti, contro i 323,5 dell’Unione a 27 stati.
Se guardiamo poi all’efficacia dei servizi scopriamo che l’aspettativa di vita degli americani è
di 77,4 anni, contro i 76,6 dell’Europa a ventisette e i 78,7 dell’UE-15: una differenza
minima se si pensa alla disparità di spesa. Riportiamo infine i dati sulla mortalità infantile,
diminuita drasticamente in tutti i Paesi industrializzati tra il 1970 e il 2005. Tuttavia negli
Stati Uniti attualmente la mortalità infantile è pari al 6 per mille, contro il 4,4 per mille
dell’Europa a quindici e il 5,4 di quella a ventisette.
Che conclusioni possiamo trarre da questi numeri?
Sicuramente il risultato dell’analisi rende lecito sostenere che il PIL non sia un indicatore di
benessere molto affidabile e che andrebbe sostituito da indici più avanzati. Il problema è che
il PIL è più facile da calcolare rispetto ad altri indici e, soprattutto, ormai è entrato a tal
punto nell’uso che dovremo aspettare parecchio tempo prima che venga abbandonato.
A questo proposito tuttavia la Commissione Europea si è dimostrata molto sensibile e ha
elaborato una “strategia per lo sviluppo sostenibile dell’Unione”, rinnovata nel 2006, che si
preoccupa di valutare i progressi dell’Unione in vari campi, quali quello socio-economico, i
cambiamenti demografici e la salute pubblica. Siamo ancora agli inizi di una valutazione più
realistica delle performance economiche e non solo, ma è già un significativo passo avanti il
fatto che una delle maggiori potenze mondiali si sia posta il problema di valutare le proprie
politiche non solo attraverso l’andamento del prodotto interno lordo.
La seconda conclusione da trarre è che se si compiono analisi leggermente più approfondite,
spesso risulta che l’economia europea in molti campi non è inferiore a quella statunitense,
anzi è ben più efficiente. Ne abbiamo dato un esempio analizzando la spesa sanitaria e i risultati
ottenuti. Con questo non vogliamo dire che l’Europa sia la nuova El Dorado e che gli USA
siano destinati al tracollo, anche perché in molti campi l’economia statunitense è ancora molto
più competitiva di quella europea. Il messaggio che vogliamo lanciare è piuttosto quello di
diffidare di analisi spesso volutamente superficiali che, per ragioni ideologiche, mirano più a
dimostrare la superiorità del modello americano che a valutare l’effettivo andamento
dell’economia.

Enrico Sbolli

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